Il governo: il groupier più abile della nazione
In tempo di profonda crisi economica, l’Italia è il mercato di scommesse più grande d’Europa e uno dei più grandi del mondo. Secondo l’Eurispes il numero di scommettitori è in costante aumento e, al momento, ci sono 700.000 italiani schiavi del gioco d’azzardo.
In Italia hai la possibilità di scommettere in ogni angolo di strada: i bar risuonano di macchinette per scommettere, i tabacchini vendono vari tipi di lotterie, gli uffici postali vendono gratta e vinci, i centri di scommesse vendono il sogno del “paradiso” in uno stato di depressione della popolazione che cerca di ottenere il “miracolo” per pochi euro.
Ma dimentichiamoci dei soldi e dei vincitori. Lo scommettitore non punta solo soldi su un dado: è l’intero stile di vita della famiglia, la dignità, la decenza, la pace, a girare intorno ad un tavolo verde con dei numeri.
Un ex ristoratore di trentadue anni, Tomas B., settimane fa ha dichiarato ai giornalisti tedeschi che la sua vita vale solo 8.000€ al momento. Questo è il prezzo della vita di una persona che ha già perso un business privato, una casa e due macchine. Ha solo un mese per poter ripagare il debito che ha verso gli strozzini. “Tutto quello che ottieni scommettendo lo devi restituire loro quintuplicato. Più perdi, più torni dietro a prendere ciò che è tuo. Mia moglie e mio figlio non sapevano niente del mio vizio, per cinque anni. Mi sentivo stupido e avevo vergogna e paura di dirlo alla mia famiglia. Ho perso anche loro. Ora ogni giorno è solo un altro giorno all’inferno. In questo gioco c’è solo una persona che vince alla fine, e questa persona non sei tu. Ancora non so come restituirò il mio debito ma il tempo sta passando…”, questa è parte della storia di Thomas.
L’organizzazione mondiale della sanità, nel 1980, ha definito il gioco d’azzardo come un disturbo ossessivo compulsivo, così come altre malattie quali la cleptomania, la piromania e altre forme di dipendenza. Il problema è che il gioco d’azzardo è una dipendenza nascosta che provoca il deterioramento patologico del giocatore in quanto, spesso, il problema ha preso il sopravvento mentre il giocatore è stato capace di nasconderlo, e nel momento in cui il problema viene scoperto si tratta già di una dipendenza seria con molti affetti che tentano il suicidio. Essi non vogliono vivere più a causa della dura realtà nella quale non hanno più lavoro, perdono contatti con gli amici in quanto hanno provato a chiedere soldi in prestito che gli sono stati negati. Non hanno più un coniuge, hanno perso contatto con i genitori, non hanno più una casa né posto dove andare.
Gli psicologi dicono che l’età in cui le persone iniziano a scommettere sta cambiando e, al giorno d’oggi, i ragazzini iniziano anche verso i dieci anni. Il problema principale è che lo stato e la società valutano questo come un vizio, un problema personale, nonostante le conseguenze siano simili a quelle causate dall’alcolismo o dall’uso di droghe. Le leggi a riguardo mostrano alcune regolamentazioni e vietano il gioco ai minori ma non vanno oltre questo. Un ragazzo di 14 anni ha solo bisogno di una carta di credito per poter scommettere online.
La storia del gioco d’azzardo ha origine all’epoca dell’impero romano tra i legionari e la prima casa di scommesse fu aperta a Venezia nel 1638, chiamata Casinò. Anche se in Italia ci sono solo quattro Casinò (Venezia, San Remo, Saint-Vincent e Campione d’Italia), con la legalizzazione delle slot-machine, delle scommesse sportive, delle scommesse online, lo scorso anno la popolazione ha speso 60 miliardi di euro in diversi tipi di giochi, come mostrato dai dati dell’agenzia in carica per il controllo di questa industria. Inizialmente il Governo ha ridotto il gioco d’azzardo ma, successivamente, con la riduzione delle leggi sul gioco d’azzardo, ha fatto si che anche la mafia entrasse a far parte del business.
Paradossalmente, in molti casi i cittadini pagano il 21% d’IVA sui beni di consumo che non siano cibo, ma per le scommesse hanno tasse più basse, infatti per le scommesse la media dell’IVA nell’anno scorso è stata dell’11%.
Le leggi italiane proclamano il gioco d’azzardo come illegale, sia se organizzato in un luogo pubblico sia in un luogo privato aperto al pubblico o in un club privato. Allo stesso modo, secondo le leggi italiane, c’è una differenza tra un gioco basato sulla fortuna e un gioco che dipende dalle abilità del giocatore. Le scommesse sportive, le lotterie e altre attività ricadono nella categoria del legale e sono attività di gioco regolamentate. Non è molto “chiaro” come sia possibile che un gioco che dipende dal ruotare di una pallina su dei numeri (“la roulette”) sia un gioco d’abilità. (Per “mostrare attenzione” riguardo le tasche dei cittadini, il governo non permette l’uso di slot-machine online perché in quel caso sarebbe un gioco governato solo dalla “fortuna”).
Un decreto Comunitario, dell’ultimo Febbraio, è stata una vera svolta per l’industria del gioco d’azzardo nella nazione. Ha portato ad una regolamentazione per il gioco del poker e per i giochi da casinò e ha anche fissato alcuni cambiamenti introdotti nella precedente versione del decreto. Uno degli aspetti principale riguarda il calcolo delle tasse basato sugli introiti piuttosto che sui guadagni. Una tassa del 20% è stata applicata a tutti i nuovi giochi legalizzati ad eccezione delle lotterie video. Le agenzie che organizzano scommesse ippiche e sportive, le lotterie e giochi d’abilità devono ancora pagare il 3% dei soldi incassati per ogni torneo.
Inoltre, il nuovo decreto obbliga le agenzie a rendere ai giocatori almeno il 90% dei soldi raccolti dalle scommesse in forma di vincite. Il prezzo massimo d’iscrizione per un torneo di poker è stato fissato a 250€ e le fiches iniziali per ogni giocatore non possono superare i 1.000€. Ma ancora sembra come un vizio in cui tutti vincono e solo uno perde, questa è la ragione per cui è una malattia silenziosa.
È un “segreto pubblico” come il Parlamento italiano sia una lobby del gioco d’azzardo, specialmente se ricordiamo che il governo ha permesso la rimozione di misure presenti nel precedente decreto le quali avrebbero vietato ai familiari dei mafiosi di possedere concessioni per aprire agenzie di scommesse. La Francia ha già vietato le slot-machine nei bar e ci sono abili creatori di leggi in questa nazione che stanno cercando di creare nuove leggi riguardo il market delle scommesse ma è molto difficile. C’è un tentativo di creare una legge di sostegno che possa regolare le pubblicità, denominando ufficialmente il problema del gioco d’azzardo come una malattia coperta dal sistema sanitario nazionale e che proibisca le concessioni per le agenzie di scommesse a chiunque abbia legami familiari con la mafia.
In Italia hai la possibilità di scommettere in ogni angolo di strada: i bar risuonano di macchinette per scommettere, i tabacchini vendono vari tipi di lotterie, gli uffici postali vendono gratta e vinci, i centri di scommesse vendono il sogno del “paradiso” in uno stato di depressione della popolazione che cerca di ottenere il “miracolo” per pochi euro.
Ma dimentichiamoci dei soldi e dei vincitori. Lo scommettitore non punta solo soldi su un dado: è l’intero stile di vita della famiglia, la dignità, la decenza, la pace, a girare intorno ad un tavolo verde con dei numeri.
Un ex ristoratore di trentadue anni, Tomas B., settimane fa ha dichiarato ai giornalisti tedeschi che la sua vita vale solo 8.000€ al momento. Questo è il prezzo della vita di una persona che ha già perso un business privato, una casa e due macchine. Ha solo un mese per poter ripagare il debito che ha verso gli strozzini. “Tutto quello che ottieni scommettendo lo devi restituire loro quintuplicato. Più perdi, più torni dietro a prendere ciò che è tuo. Mia moglie e mio figlio non sapevano niente del mio vizio, per cinque anni. Mi sentivo stupido e avevo vergogna e paura di dirlo alla mia famiglia. Ho perso anche loro. Ora ogni giorno è solo un altro giorno all’inferno. In questo gioco c’è solo una persona che vince alla fine, e questa persona non sei tu. Ancora non so come restituirò il mio debito ma il tempo sta passando…”, questa è parte della storia di Thomas.
L’organizzazione mondiale della sanità, nel 1980, ha definito il gioco d’azzardo come un disturbo ossessivo compulsivo, così come altre malattie quali la cleptomania, la piromania e altre forme di dipendenza. Il problema è che il gioco d’azzardo è una dipendenza nascosta che provoca il deterioramento patologico del giocatore in quanto, spesso, il problema ha preso il sopravvento mentre il giocatore è stato capace di nasconderlo, e nel momento in cui il problema viene scoperto si tratta già di una dipendenza seria con molti affetti che tentano il suicidio. Essi non vogliono vivere più a causa della dura realtà nella quale non hanno più lavoro, perdono contatti con gli amici in quanto hanno provato a chiedere soldi in prestito che gli sono stati negati. Non hanno più un coniuge, hanno perso contatto con i genitori, non hanno più una casa né posto dove andare.
Gli psicologi dicono che l’età in cui le persone iniziano a scommettere sta cambiando e, al giorno d’oggi, i ragazzini iniziano anche verso i dieci anni. Il problema principale è che lo stato e la società valutano questo come un vizio, un problema personale, nonostante le conseguenze siano simili a quelle causate dall’alcolismo o dall’uso di droghe. Le leggi a riguardo mostrano alcune regolamentazioni e vietano il gioco ai minori ma non vanno oltre questo. Un ragazzo di 14 anni ha solo bisogno di una carta di credito per poter scommettere online.
La storia del gioco d’azzardo ha origine all’epoca dell’impero romano tra i legionari e la prima casa di scommesse fu aperta a Venezia nel 1638, chiamata Casinò. Anche se in Italia ci sono solo quattro Casinò (Venezia, San Remo, Saint-Vincent e Campione d’Italia), con la legalizzazione delle slot-machine, delle scommesse sportive, delle scommesse online, lo scorso anno la popolazione ha speso 60 miliardi di euro in diversi tipi di giochi, come mostrato dai dati dell’agenzia in carica per il controllo di questa industria. Inizialmente il Governo ha ridotto il gioco d’azzardo ma, successivamente, con la riduzione delle leggi sul gioco d’azzardo, ha fatto si che anche la mafia entrasse a far parte del business.
Paradossalmente, in molti casi i cittadini pagano il 21% d’IVA sui beni di consumo che non siano cibo, ma per le scommesse hanno tasse più basse, infatti per le scommesse la media dell’IVA nell’anno scorso è stata dell’11%.
Le leggi italiane proclamano il gioco d’azzardo come illegale, sia se organizzato in un luogo pubblico sia in un luogo privato aperto al pubblico o in un club privato. Allo stesso modo, secondo le leggi italiane, c’è una differenza tra un gioco basato sulla fortuna e un gioco che dipende dalle abilità del giocatore. Le scommesse sportive, le lotterie e altre attività ricadono nella categoria del legale e sono attività di gioco regolamentate. Non è molto “chiaro” come sia possibile che un gioco che dipende dal ruotare di una pallina su dei numeri (“la roulette”) sia un gioco d’abilità. (Per “mostrare attenzione” riguardo le tasche dei cittadini, il governo non permette l’uso di slot-machine online perché in quel caso sarebbe un gioco governato solo dalla “fortuna”).
Un decreto Comunitario, dell’ultimo Febbraio, è stata una vera svolta per l’industria del gioco d’azzardo nella nazione. Ha portato ad una regolamentazione per il gioco del poker e per i giochi da casinò e ha anche fissato alcuni cambiamenti introdotti nella precedente versione del decreto. Uno degli aspetti principale riguarda il calcolo delle tasse basato sugli introiti piuttosto che sui guadagni. Una tassa del 20% è stata applicata a tutti i nuovi giochi legalizzati ad eccezione delle lotterie video. Le agenzie che organizzano scommesse ippiche e sportive, le lotterie e giochi d’abilità devono ancora pagare il 3% dei soldi incassati per ogni torneo.
Inoltre, il nuovo decreto obbliga le agenzie a rendere ai giocatori almeno il 90% dei soldi raccolti dalle scommesse in forma di vincite. Il prezzo massimo d’iscrizione per un torneo di poker è stato fissato a 250€ e le fiches iniziali per ogni giocatore non possono superare i 1.000€. Ma ancora sembra come un vizio in cui tutti vincono e solo uno perde, questa è la ragione per cui è una malattia silenziosa.
È un “segreto pubblico” come il Parlamento italiano sia una lobby del gioco d’azzardo, specialmente se ricordiamo che il governo ha permesso la rimozione di misure presenti nel precedente decreto le quali avrebbero vietato ai familiari dei mafiosi di possedere concessioni per aprire agenzie di scommesse. La Francia ha già vietato le slot-machine nei bar e ci sono abili creatori di leggi in questa nazione che stanno cercando di creare nuove leggi riguardo il market delle scommesse ma è molto difficile. C’è un tentativo di creare una legge di sostegno che possa regolare le pubblicità, denominando ufficialmente il problema del gioco d’azzardo come una malattia coperta dal sistema sanitario nazionale e che proibisca le concessioni per le agenzie di scommesse a chiunque abbia legami familiari con la mafia.
I tagli alla cultura...costano caro!
La “cultura” non è solo la laurea presso una prestigiosa università o la possibilità di andare a teatro. E un modo di vivere che rappresenta una nazione intera e la sua storia. Per questo è importante difenderla.
“Questa è la cultura con cui state allevando i vostri figli. Non siate sorpresi se vi esplode in faccia”. Questa è una delle citazioni più memorabili di Marilyn Manson ed era decisamente corretta.
Da quando è iniziata la crisi economica in tutta Europa la cultura sembrava essere la cosa più facile a cui tagliare i fondi poiché, si sa, “è qualcosa che non puoi mangiare o bere”. Ma la cultura dà un’identità univoca all’individuo, dà peculiarità alla comunità, rappresenta i valori etici sui quali le persone vivono in società. I cittadini sono il centro d’interesse della politica culturale d'Europa. Dobbiamo essere la voce che riconosce il ruolo dell’arte e della cultura nello sviluppo della nostra società. Attraverso la mobilitazione e lo sviluppo professionale del settore, possiamo aprire gli occhi dei creatori della politica culturale a livello locale, regionale e nazionale.
La tendenza del taglio dei fondi alla cultura continua a prendere piede in Italia e in tutta Europa. Per esempio, in Slovenia solamente l’anno scorso il governo ha tagliato 38 milioni di euro e le organizzazioni non governamentali (NGO) sono riuscite a raccogliere 7.000 firme per una petizione contro il taglio dei fondi.
Secondo l’Eurostat, nel 2007 la pubblicazione di quotidiani ha generato il più alto ritorno nei 27 paesi dell'Unione Europea: 48 miliardi di euro, seguita da riviste e periodici (43 miliardi di euro) e dai libri (35 miliardi di euro). La cultura detiene un posto di spicco nelle vite di tutti gli europei, ma sembra che questo non sia abbastanza per combattere contro i problemi che stiamo affrontando.
Quando il Maxxi, primo museo d’arte contemporanea in Italia, ha aperto i battenti a Roma nel 2010 moltissime persone hanno creduto che sarebbe diventato il posto più importante per gli artisti del 21esimo secolo. Le cose non sono andate così e quest’anno l’ex direttore Pio Baldi ha lamentato la riduzione progressiva di fondi ministeriali, passati da 7 milioni a 2 milioni. L’imponente museo progettato da Zaha Hadid e l’intero management è stato sostituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Due anni fa attraverso i tagli, i fondi del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) per la spesa culturale sono stati di 288 milioni di euro, un minimo storico e di molto inferiore ai fondi simili stanziati in Germania e Francia. Nonostante 250.000 lavoratori abbiano scioperato per 24 ore, il governo non ha cambiato idea.
Ora i tagli di fondi sono arrivati al punto da mettere a rischio migliaia di documenti di valore in tutta Italia. L'archivio di Modena già ha chiuso e, dato il non pagamento degli stipendi, non è l’unico ufficio chiuso. È molto preoccupante che l’archivio di Roma ha avuto una riduzione dei fondi pari al 70% e, nonostante sia stato costruito nel 1500, è esso stesso in pericolo, inoltre possiede 800.000 mappe antiche, 35 metri di disegni originali, documenti risalenti alla dinastia Ming. Così come è presente un contratto d’affitto appartenente a Caravaggio e una lettera dell’ex primo ministro Aldo Moro scritta mentre era nelle mani delle Brigate Rosse.
Le potenzialità più grandi del settore culturale sono la creatività e l’innovazione e il suo scopo principale è quello di enfatizzare il ruolo della cultura nella società come uno degli elementi più importanti di trasformazione sociale. Attraverso un continuo dialogo con le correnti politiche è possibile inglobare una dimensione culturale in ogni programma politico; le autorità locali e i ministeri hanno la capacità di riconoscere e il desiderio di ammettere l’importanza della partecipazione delle istituzioni culturali.
Il senso di cultura e arte è prezioso nelle società. La crisi economica è un problema innegabile ma la perdita della cultura è molto più pericolosa. La cultura è una scelta per la quale ogni governo e ogni politico dovrebbe lottare, a dispetto della crisi finanziaria.
“Questa è la cultura con cui state allevando i vostri figli. Non siate sorpresi se vi esplode in faccia”. Questa è una delle citazioni più memorabili di Marilyn Manson ed era decisamente corretta.
Da quando è iniziata la crisi economica in tutta Europa la cultura sembrava essere la cosa più facile a cui tagliare i fondi poiché, si sa, “è qualcosa che non puoi mangiare o bere”. Ma la cultura dà un’identità univoca all’individuo, dà peculiarità alla comunità, rappresenta i valori etici sui quali le persone vivono in società. I cittadini sono il centro d’interesse della politica culturale d'Europa. Dobbiamo essere la voce che riconosce il ruolo dell’arte e della cultura nello sviluppo della nostra società. Attraverso la mobilitazione e lo sviluppo professionale del settore, possiamo aprire gli occhi dei creatori della politica culturale a livello locale, regionale e nazionale.
La tendenza del taglio dei fondi alla cultura continua a prendere piede in Italia e in tutta Europa. Per esempio, in Slovenia solamente l’anno scorso il governo ha tagliato 38 milioni di euro e le organizzazioni non governamentali (NGO) sono riuscite a raccogliere 7.000 firme per una petizione contro il taglio dei fondi.
Secondo l’Eurostat, nel 2007 la pubblicazione di quotidiani ha generato il più alto ritorno nei 27 paesi dell'Unione Europea: 48 miliardi di euro, seguita da riviste e periodici (43 miliardi di euro) e dai libri (35 miliardi di euro). La cultura detiene un posto di spicco nelle vite di tutti gli europei, ma sembra che questo non sia abbastanza per combattere contro i problemi che stiamo affrontando.
Quando il Maxxi, primo museo d’arte contemporanea in Italia, ha aperto i battenti a Roma nel 2010 moltissime persone hanno creduto che sarebbe diventato il posto più importante per gli artisti del 21esimo secolo. Le cose non sono andate così e quest’anno l’ex direttore Pio Baldi ha lamentato la riduzione progressiva di fondi ministeriali, passati da 7 milioni a 2 milioni. L’imponente museo progettato da Zaha Hadid e l’intero management è stato sostituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Due anni fa attraverso i tagli, i fondi del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) per la spesa culturale sono stati di 288 milioni di euro, un minimo storico e di molto inferiore ai fondi simili stanziati in Germania e Francia. Nonostante 250.000 lavoratori abbiano scioperato per 24 ore, il governo non ha cambiato idea.
Ora i tagli di fondi sono arrivati al punto da mettere a rischio migliaia di documenti di valore in tutta Italia. L'archivio di Modena già ha chiuso e, dato il non pagamento degli stipendi, non è l’unico ufficio chiuso. È molto preoccupante che l’archivio di Roma ha avuto una riduzione dei fondi pari al 70% e, nonostante sia stato costruito nel 1500, è esso stesso in pericolo, inoltre possiede 800.000 mappe antiche, 35 metri di disegni originali, documenti risalenti alla dinastia Ming. Così come è presente un contratto d’affitto appartenente a Caravaggio e una lettera dell’ex primo ministro Aldo Moro scritta mentre era nelle mani delle Brigate Rosse.
Le potenzialità più grandi del settore culturale sono la creatività e l’innovazione e il suo scopo principale è quello di enfatizzare il ruolo della cultura nella società come uno degli elementi più importanti di trasformazione sociale. Attraverso un continuo dialogo con le correnti politiche è possibile inglobare una dimensione culturale in ogni programma politico; le autorità locali e i ministeri hanno la capacità di riconoscere e il desiderio di ammettere l’importanza della partecipazione delle istituzioni culturali.
Il senso di cultura e arte è prezioso nelle società. La crisi economica è un problema innegabile ma la perdita della cultura è molto più pericolosa. La cultura è una scelta per la quale ogni governo e ogni politico dovrebbe lottare, a dispetto della crisi finanziaria.
Separazione all'italiana: e vissero infelici e scontenti
In Italia sono 4 milioni i papà separati e secondo l’Eurispes l’80 per cento di loro non riesce a vivere del proprio stipendio. Scene da una nuova povertà.
La crisi va in aspettativa. A caldeggiare la povertà, oggi, non è più la sola. È il caso di chi, oltre a perdere un lavoro si ritrova a dover fare i conti con una rottura familiare, che una volta sommate le spese dilazionate tra legali e psicologi rendono cifre astronomiche.
È una separazione in progress, che cambia volto e dà spiraglio di redenzione per sentimenti tracollati e diventa un affaire in pasto ad avvocati e terapeuti. Ciò che ne risulta nella maggior parte della casistica è la tombola finanziaria delle ex famiglie che si scontrano con l’oberarsi di spese non alla loro portata, limitata all’assetare il diritto a vedere i propri figli per poche ore alla settimana. È questa la rendicontazione sempre maggiore dei padri separati, che si dimenano tra cause in tribunale in attesa del responso sull’affidamento dei loro bambini.
Una coppia che ha intenzione di separarsi senza trovare un accordo spiana la strada alla burocrazia, ed ecco che si entra in un meccanismo dai tempi rigidi e complessi, laddove viene scelto un avvocato per parte, uno psicologo nominato dal tribunale ed altri due, uno per parte. Un sistema che comporta dei costi alti oltre che economici anche emotivi ai danni di genitori e figli. È allora semplice capire che si tratta di un fenomeno dai contorni inquietanti, che scompone degli equilibri, portando una persona, fino a che vive in famiglia ad avere un reddito accettabile e che, una volta passata per la separazione, cede il passo all’indigenza.
Quando incontro Maurizio, giovane padre separato, nel soleggiato giardino del Museo del Sannio, dove i profumi della primavera si sono già imposti, mi accorgo quanto le mie parole trovino il vaglio. I suoi occhi, le sue mani, la sua voce tremante, sono intrisi dalla sofferenza, quella stessa sofferenza che si porta dentro da tre anni: da quando è andato via dal nido ovattato costruito per sé e per la sua famiglia, quando il termine famiglia reggeva ancora su pilastri semantici, oggi andati in sfacelo. Il tono è familiare, disquisire della propria causa diventa quasi naturale, senza mezzi termini quando la discussione tocca fenomeni estremi quale quello della “generazione boomerang”. Li chiamano così, i padri che ritornano con capelli grigi e sguardo chino dai genitori. Padri che ritornano dai propri genitori a fare i figli, impossibilitati ad accudire i propri. Ma non è il suo caso, Maurizio non ha né i capelli bianchi, né è tornato dai suoi genitori. È solo commiserazione o forse pura presa di coscienza di quanto poco tempo possa intercorrere tra il destreggiarsi in spese legali e domestiche ed il finire sul lastrico. Suo figlio ha con lui un rapporto speciale, perché in fondo anche lui è speciale. L’amore a distanza di un padre che puoi godere per soli pochi giorni al mese un po’ ti ci fa sentire particolareggiato. Sono svariati i fattori che condizionano e svantaggiano la vita dei padri separati non affidatari, l’abbandono di una casa ed il rifarsene un’altra, il peso finanziario, la sensazione di essere puniti dalla legge che regola il diritto di famiglia, la rassegnazione, l’impotenza davanti alle false accuse spesso disseminate dalla controparte, il vedersi disatteso il principio ed il diritto d’uguaglianza, l’allontanamento fisico da un giorno all’altro dai propri figli. Tirando le somme, l’apporto del contributo paterno è un elemento a monte imprescindibile, ma quanto la legge si pone sufficientemente a tutela della paternità? “La legge? È assolutamente lontana da questo obiettivo - afferma Maurizio - la legge tutela a sufficienza, anzi in sovrabbondanza, le donne, che non vivono o sopravvivono in questo modo, ma si arricchiscono. Riescono a chiedere sempre di più, basta un cavillo e lo ottengono. Non c’è giustizia sociale. La legge è femminista, dalla parte delle donne”. Il gentil sesso sembra, così, aver cambiato pelle e da sesso debole acquista il primato, mette i pantaloni e diventa forte. Almeno di fronte alla legge.
La crisi va in aspettativa. A caldeggiare la povertà, oggi, non è più la sola. È il caso di chi, oltre a perdere un lavoro si ritrova a dover fare i conti con una rottura familiare, che una volta sommate le spese dilazionate tra legali e psicologi rendono cifre astronomiche.
È una separazione in progress, che cambia volto e dà spiraglio di redenzione per sentimenti tracollati e diventa un affaire in pasto ad avvocati e terapeuti. Ciò che ne risulta nella maggior parte della casistica è la tombola finanziaria delle ex famiglie che si scontrano con l’oberarsi di spese non alla loro portata, limitata all’assetare il diritto a vedere i propri figli per poche ore alla settimana. È questa la rendicontazione sempre maggiore dei padri separati, che si dimenano tra cause in tribunale in attesa del responso sull’affidamento dei loro bambini.
Una coppia che ha intenzione di separarsi senza trovare un accordo spiana la strada alla burocrazia, ed ecco che si entra in un meccanismo dai tempi rigidi e complessi, laddove viene scelto un avvocato per parte, uno psicologo nominato dal tribunale ed altri due, uno per parte. Un sistema che comporta dei costi alti oltre che economici anche emotivi ai danni di genitori e figli. È allora semplice capire che si tratta di un fenomeno dai contorni inquietanti, che scompone degli equilibri, portando una persona, fino a che vive in famiglia ad avere un reddito accettabile e che, una volta passata per la separazione, cede il passo all’indigenza.
Quando incontro Maurizio, giovane padre separato, nel soleggiato giardino del Museo del Sannio, dove i profumi della primavera si sono già imposti, mi accorgo quanto le mie parole trovino il vaglio. I suoi occhi, le sue mani, la sua voce tremante, sono intrisi dalla sofferenza, quella stessa sofferenza che si porta dentro da tre anni: da quando è andato via dal nido ovattato costruito per sé e per la sua famiglia, quando il termine famiglia reggeva ancora su pilastri semantici, oggi andati in sfacelo. Il tono è familiare, disquisire della propria causa diventa quasi naturale, senza mezzi termini quando la discussione tocca fenomeni estremi quale quello della “generazione boomerang”. Li chiamano così, i padri che ritornano con capelli grigi e sguardo chino dai genitori. Padri che ritornano dai propri genitori a fare i figli, impossibilitati ad accudire i propri. Ma non è il suo caso, Maurizio non ha né i capelli bianchi, né è tornato dai suoi genitori. È solo commiserazione o forse pura presa di coscienza di quanto poco tempo possa intercorrere tra il destreggiarsi in spese legali e domestiche ed il finire sul lastrico. Suo figlio ha con lui un rapporto speciale, perché in fondo anche lui è speciale. L’amore a distanza di un padre che puoi godere per soli pochi giorni al mese un po’ ti ci fa sentire particolareggiato. Sono svariati i fattori che condizionano e svantaggiano la vita dei padri separati non affidatari, l’abbandono di una casa ed il rifarsene un’altra, il peso finanziario, la sensazione di essere puniti dalla legge che regola il diritto di famiglia, la rassegnazione, l’impotenza davanti alle false accuse spesso disseminate dalla controparte, il vedersi disatteso il principio ed il diritto d’uguaglianza, l’allontanamento fisico da un giorno all’altro dai propri figli. Tirando le somme, l’apporto del contributo paterno è un elemento a monte imprescindibile, ma quanto la legge si pone sufficientemente a tutela della paternità? “La legge? È assolutamente lontana da questo obiettivo - afferma Maurizio - la legge tutela a sufficienza, anzi in sovrabbondanza, le donne, che non vivono o sopravvivono in questo modo, ma si arricchiscono. Riescono a chiedere sempre di più, basta un cavillo e lo ottengono. Non c’è giustizia sociale. La legge è femminista, dalla parte delle donne”. Il gentil sesso sembra, così, aver cambiato pelle e da sesso debole acquista il primato, mette i pantaloni e diventa forte. Almeno di fronte alla legge.